Qui dove la vita scorre lenta: racconto di un viaggio a Dakar (seconda parte)
Immersa nella città vera, fatta di caos e di foschia, di vari volti di un paese che nasconde un popolo meraviglioso.

(la prima parte del viaggio la trovate a QUESTO LINK)
Poi giri l’angolo, due strade e si alza la polvere. La sabbia vi entra negli occhi e siete immersi nel caos e nel traffico più assordante fatto di motorini e macchine che continuamente bloccano le strade. Autobus con sportelloni aperti in cui la gente ci si arrampica letteralmente al loro passaggio. Ambulanti e mendicanti lungo tutte le vie del centro che vendono davvero la qualunque. Mercati affollati di gente, bancarelle di vestiti, di anacardi e altra frutta secca, di attrezzi da lavoro, di pezzi di ricambio per auto e motorini. I giochi indisturbati di ragazzini che corrono a piedi nudi e le strilla di quelli che si passano un pallone sgonfio durante una partita di calcio nel bel mezzo di Parcelles Assainies.
Poi i colori vivaci e meravigliosi degli abiti femminili, indossati da donne che camminano lungo la strada con pesanti ceste di frutta sulla testa si contrappongono al monocolore dei veli che le coprono i capelli o le parrucche dai più svariati colori e lunghezze.
Una nuvola bianca di sabbia ed umidità copre il cielo, un cielo che raramente assume la tonalità dell’azzurro qua a Dakar. E poi qualche istante prima dell’imbrunire, il sole. Grande come non lo avrete mai visto. Una sfera perfettamente circolare dal colore di un limone maturo che vi regala un tramonto sul mare, qui dove i surfisti cavalcano le onde più impetuose.
Discoteche e locali lungo tutta la “Corniche” la cui musica si confonde con il rumore della moschea che al calar del sole attira i più devoti. Insomma un totale e magnifico paradosso. Questo è Dakar. Il fascino di un paese dai mille colori.
Un popolo generalmente buono che si lascia cullar da questo scorrere lento della vita, una vita che fluisce senza troppi sforzi o necessità. Un popolo che vive con quello che ha e che sembra apprezzare davvero. Su quasi ogni angolo di strada i mendicanti alternano giorni di lavoro a giornate passate sotto l’ombra di una pianta, seduti su un masso a guardare con occhi quasi persi nel tempo e nello spazio il traffico esasperante. Il tic tac dell’orologio non esiste, la definizione del tempo come noi la conosciamo non esiste. Non vivono di scadenze, di appuntamenti o di orari. Lo stress di arrivare in ritardo o di rimanere bloccati nel traffico è qualcosa che qua non conoscono. Perché semplicemente va bene così e“ci vediamo domani inshallah”, si dicono.
Non troverete troppi luoghi d’arte o cultura a Dakar, non avrete una lunga lista di siti da dover visitare perché non ce ne sono. Dakar non va vista, va vissuta, con la sensibilità di chi sa viaggiare, con la mente e il cuore di uno del posto. Se mai sarete di passaggio in questa città, per piacere o come me per lavoro, non ragionate troppo sulla lista di cose da vedere.

Aprite la porta e uscite
Immergetevi in questo popolo, sentitelo. Parlate con la gente, guardatela negli occhi, abbracciate i bambini e giocate insieme a loro, fatevi offrire una tazza calda del Tè tipico, accogliete questi attimi, questi momenti che generalmente ci sfuggono nella nostra costante distrazione di una vita fatta di corsa. Abbiate un’apertura del cuore tale per cui anche un mendicante che vi si avvicina per chiedere due monete vi possa far vibrare l’anima. Siate abbastanza sensibili perché un sorriso o un saluto di un bimbo possano regalarvi un momento che rimarrà fisso nei vostri ricordi.
Mi trovo a Dakar, in aeroporto ora, pronta o forse no per il rientro a casa. Vedo gente passare che si affretta ad acquistare gli ultimi souvenir che qui costano almeno il doppio e mi chiedo perché non lo avessero fatto prima, magari in una di quelle bancarelle di artigianato locale del centro o da uno di quei mendicanti che tanto si svenano per un pugno di monete in una giornata tipo. Ogni genere di creme, oli per il corpo ed estratti di Baobab qua vanno letteralmente a ruba. Sono le 23:00 e attendo il volo seduta su uno dei cigolanti sgabelli dell’aeroporto, e rifletto a come è inimmaginabile tutto questo per chi è a casa, in Italia. Come in certi momenti siamo talmente distanti nel percepire questa estrema compassione, se vogliamo usare questo termine, di un paese che va ma a ritmo suo.
E a me piace
Mi trovo a Dakar, seduta sul mio posto numerato 23H in aereo, davanti allo schermo touch che mi offre un alista infinita di film, serie Tv o qualsiasi altro genere di intrattenimento. Una hostess passa e mi lascia un kit dove all’interno trovo delle calze, dei tappi per orecchie, dentifricio e spazzolino ed una mascherina per dormire. Un ragazzino prende dal suo zaino un Ipad e mi chiedo per quale motivo non sia sufficiente uno schermo touch ad ultima generazione gentilmente proposto dalla compagnia aerea. Un sorriso mi sfiora un po’ le labbra e so che Dakar domani mi mancherà.
Sento le ruote dell’aereo che lentamente iniziano a muoversi, in un attimo cala il silenzio e la stanchezza del giorno mi assale. Immagini di quella vita quotidiana mi occupano i pensieri e ripenso a quella bimba che davanti ad un negozio di cisterne mi strinse le braccia attorno al collo, in un abbraccio lungo e pieno di amore che quasi mi si spezzò il fiato.